L’articolo 13 della legge 412/91 prevede che le somme non dovute, erogate dall'INPS, non debbano essere restituite, a meno che l’errore non sia attribuibile all’interessato. In merito, si osserva che il settore previdenziale è stato profondamente riformato e, tra le altre cose, ha consentito di introdurre una normativa di carattere speciale in deroga al disposto di cui all’art. 2033 c.c. Detta normativa, in particolare, è rappresentata dall’art. 52 della Legge n. 88/1989 e dalla successiva norma di interpretazione autentica di cui all’art. 13 della Legge n. 212/1991. La prima delle norme citate così recita: “Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, nonché la pensione sociale, di cui all’ articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave”. Il successivo art. 13 della Legge 412/1991, invece, ha in seguito fornito un’interpretazione autentica del citato art. 52 della Legge n. 88/1989, benché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1993, lo abbia in seguito dichiarato illegittimo nella parte in cui prevedeva l’applicazione retroattiva della norma, così posticipando i suoi effetti alla data della sua entrata in vigore. In ogni caso, il predetto art. 13 così dispone: “Le disposizioni di cui all’articolo 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite”. Tra l’altro, il carattere di specialità della normativa in materia previdenziale -rispetto alla disciplina generale del pagamento dell’indebito- è stata ribadita dalla Corte di Cassazione, la quale ha ricordato che la “[…] L. n. 88 del 1989, art. 52 [è] espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c. […]” (Cass. Civ. n. 482/2017).
Nel caso in cui il ricorrente può provare che l'indebito percepito è imputabile esclusivamente all’erronea valutazione dei redditi già comunicati, o comunque conosciuti, dall’istituto di previdenza. Inoltre, data la lieve entità dell’errore commesso dall’ente, non può desumersi il dolo del soggetto beneficiario, in quanto è perfettamente plausibile che il soggetto non si sia accorto dell’errore. C’è poi da considerare che l’assenza della responsabilità e la buona fede del destinatario escluderebbero a priori l’obbligo di rimborso derivante dalla percezione di denaro non spettante, come affermato nella sentenza della S.C. di Cassazione. n. 482 dell’11 gennaio 2017 della Sezione Lavoro, che ha rigettato il ricorso dell’Inps avverso la decisione n. 354/2009 della Corte d’Appello di Milano che aveva dichiarato “ non dovuta la rivalutazione sulle somme restituende al pensionato ”. Nel caso di specie l’Inps aveva sostenuto “di essere legittimato a recuperare l’importo indebitamente erogato della quota indebita della pensione a carico del fondo integrativo aziendale”. Tuttavia, per la Corte, i motivi asseriti dall’Inps non sono fondati, “Alla stregua dell’art. 52 della Legge n. 88/89, espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c., le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell’interessato”.
Anche la giurisprudenza di merito appare costante nel ribadire i principi sopra citati. In particolare, il Tribunale di Palermo, con le sentenze 2041/2018 e 3238/2018, ha ricordato che in materia di previdenza e assistenza obbligatoria non trova applicazione l’articolo 2033 del Codice Civile sulla ripetizione dell’indebito : “ l’indebito pensionistico I.N.P.S., per essere ripetibile, deve derivare da errore imputabile all’ente, oppure occorre che il percettore sia in dolo o abbia omesso la trasmissione di comunicazioni dovute rispetto a dati non noti all’I.N.P.S.” ( Cass. – Sentenza 08 febbraio 2019, n. 3802 ).